6 - Quale significato possiamo dare a queste malattie?

uando le persone dicono di essere ammalate di DCA, in genere, pensano di essere sfortunate, perché hanno sviluppato una malattia. Forse è proprio così, ma se osserviamo il problema da un altro punto di vista questo tipo di disturbo può rivelarsi una risorsa.

Forse per qualcuno, quest’affermazione può sembrare un’eresia. Di fatto se la malattia è accettata, diventa un’occasione per riflettere e capire delle cose di sé, il disturbo si rivela come possibilità di scoprire aspetti di se stessi che altrimenti sarebbe stato difficile conoscere.

Bisogna attraversare esperienze e periodi di sofferenza nella malattia per scoprire quali sono le cose importanti, come fare a portare avanti i propri bisogni, come individuare le proprie necessità e quali sono i fondamentali punti d’equilibrio della persona, quali sono i momenti che la fanno star bene e come si fa a non sentirsi in colpa se si seguono le proprie necessità.

Star accanto ad una persona che sviluppa un’Anoressia o una Bulimia Nervosa non è semplice, come non è altrettanto semplice per la persona che si è ammalata stare con se stessa e gli altri.

La sintomatologia altera il pensiero, il modo di vivere le situazioni, i rapporti. Spesso le persone con DCA tendono e pretendono da se stesse la perfezione e questa tendenza condiziona il modo di osservare i comportamenti di chi sta loro vicino. La pretesa per sé si estende agli altri. Un rapporto affettivo che potrebbe essere valido e soddisfacente, visto attraverso gli occhi della malattia, potrebbe essere giudicato come inadeguato e molto lontano da ciò che può essere considerato come accettabile.

Carlotta, paziente di 49 anni, sofferente di Anoressia Nervosa con Condotte di Eliminazione (vomito autoindotto) dall’età di vent’anni, durante un colloquio dopo un percorso di psicoterapia individuale di tre anni e una di gruppo successiva durata due anni, si rese conto che per lei il rapporto col compagno non poteva più andare avanti e decise di lasciarlo. Solo dopo un altro anno di terapia, eliminato il sintomo e modificato il suo modo di vedere la realtà, accettò un confronto alla pari con l’ex compagno. Scoprì che quello che lei aveva giudicato come comportamenti di menefreghismo, di superficialità e immaturità in realtà erano  strategie  che il compagno aveva adottato per resistere ai suoi comportamenti dittatoriali segnati dalla ricerca di perfezionismo derivata dalla malattia. Carlotta a quel punto dovette rivalutare la fatica che il suo compagno aveva dovuto affrontare per starle vicino e dovette rafforzare la voce interna che la spingeva sempre più verso la tolleranza delle diversità, verso l’equilibrio interno, verso la fiducia in se stessa, cercando di riconoscere e distinguere, invece, la voce interna della malattia da non seguire. Questa serenità le fu molto utile quando, poco tempo dopo, la ditta per la quale lavorava, decise di rivalutare tutte le posizioni dei dipendenti e quindi anche la sua, mettendola in una condizione di precarietà. In questa situazione essa reagì con tranquillità, fiduciosa nelle sue risorse, mentre in passato avrebbe perso l’equilibrio conquistato ed il sintomo si sarebbe sicuramente riacutizzato.

 

Se una persona conosce poco i propri bisogni, se incontra difficoltà nello stare bene con se stessa, se non si permette di accettarsi per quella che è, come può stare in rapporto con gli altri serenamente? Come può difendere la propria sensibilità, il proprio modo d’essere?

Una ragazza di 17 anni arrivò al servizio dopo un anno di Bulimia Nervosa con Condotte di Eliminazione. Greta era la secondogenita di due figli, il fratello aveva due anni più di lei. I genitori si erano separati quando Greta aveva circa tre anni. Il conflitto tra i genitori non si era mai sopito. Il padre si proclamava vittima dell’ ingiusto allontanamento della madre di Greta e, a fasi alterne, spariva dimenticando che quelli erano anche suoi figli. Greta raccontò di essere molto in difficoltà con il fratello che le controllava il cibo e i pasti, con la madre che non le credeva e con la quale aveva un rapporto ambivalente e col padre perché troppo invadente, ora che era tornato dopo un’assenza durata dieci anni. La ragazza, spesso, chiedeva alla madre o al fratello di essere riportata a casa da scuola prima della fine dell’orario, ma non riusciva a spiegare il perché della sua richiesta. Il suo malessere per loro era un mistero, più facilmente pensavano che fossero dei capricci. Scoprirono invece che Greta era vittima, da alcuni anni, di bullismo da parte di alcuni suoi compagni. Spesso gli episodi si manifestano alla presenza di un’insegnate che temeva di essere derisa a sua volta dai molestatori, benché discenti, e quindi si adeguava e non li contrastava. Per Greta il comportamento della docente era la conferma che era lei ad essere sbagliata. Dopo gli episodi di bullismo, la ragazza sviluppava attacchi di panico che le impedivano di rimanere in classe  ed aveva paura che si ripresentassero anche nei giorni seguenti. A fatica un giorno in psicoterapia Greta riuscì ad aprirsi e spiegò ciò che le stava succedendo ed accettò l’idea di comunicarlo ai familiari.

Come si evince da quest’ultimo esempio, nemmeno chi soffre di DCA, a volte, conosce i motivi per cui sta male. Lo scarso valore che le persone con DCA danno a se stesse impedisce di considerare ciò che viene da sè come importante.

Giorgia era una donna di 33 anni che aveva sviluppato un’Alimentazione Incontrollata a seguito di un fallimento lavorativo. Un anno prima aveva deciso di cambiare lavoro, si era licenziata ed aveva aperto un’attività in proprio. Era piuttosto soddisfatta della sua scelta. Si era fatta aiutare dagli zii, che le avevano prestato del denaro che intendeva restituire appena possibile. L’attività aveva permesso a Giorgia di mettersi in mostra. Il negozio era nel centro della cittadina ed esponeva articoli alla moda. Purtroppo, la crisi economica influì pesantemente e dopo un anno di attività Giorgia prese la decisione di chiuderla e ritornare alla precedente occupazione. La delusione di Giorgia fu tale che di notte aveva la necessità di mangiare grandi quantità di cibo per potersi addormentare, solo in questo modo riusciva a fermare i pensieri torturanti relativi dell’insuccesso e l’ansia per i debiti da saldare. La perdita di controllo alimentare si presentava tutte le notti, almeno tanto quanto l’ossessioni  per le cambiali.  In poco tempo si isolò dagli amici ed anche il suo aspetto fisico si trasformò. Il peso aumentava vertiginosamente, come la fatica nell’affrontare la nuova condizione. A questo punto il Medico di Medicina Generale la indirizzò al servizio DCA per una consulenza, dopo aver provato a trattarla con un antidepressivo, perché aveva intuito che il problema di Giorgia era assai più complesso.

Ultimo aggiornamento: 12/03/24