7 - Come comportarsi se si pensa che la persona a noi vicino soffra di un DCA?

In una prima fase le persone con DCA si dice che siano in luna di miele con il sintomo (termine coniato e preso a prestito da Lacan per le tossicodipendenze), è un momento delicato in cui è difficile fare breccia e avvicinare le persone ai percorsi di cura, perché il sintomo aiuta a sentirsi meglio, risolve alcune fragilità e calma le tensioni emotive.

In questa fase è utile confrontare la persona con sospetto di DCA con gli svantaggi che il perseguire della restrizione o dell’abuso di cibo possono comportare (es. rinunciare all’apericena vuol dire rinunciare alla compagnia degli amici, che può essere invece un momento di svago e convivialità da condividere con i pari, oppure dedicare tanto tempo all’attività fisica vuol dire avere meno tempo da dedicare ai propri interessi e ai propri progetti, oppure ancora perseguire il sintomo dell’abbuffata e del comportamento di eliminazione conseguente, toglie tempo ai momenti piacevoli della giornata).

In questi casi bisogna avere pazienza, tollerare l’ambivalenza rispetto alla cura e contemporaneamente far sentire la persona con DCA in grado di farcela e spronarla a provarci. Il suggerire l’importanza di provare a superare la malattia non è un’impresa facile.

Inoltre, bisogna cercare di capire i motivi che hanno portato la persona alla malattia e le dinamiche che rafforzano il perseguire dello stato patologico.

Se non si riesce a fare tutto ciò è necessario chiedere aiuto a persone competenti che sono abituate a lavorare in èquipe multidisciplinari.

La cura attraverso o solo la psicoterapia, o la terapia clinico-farmacologica, o la dieta, non sono efficaci perché sono terapie valide ma parziali.

Dobbiamo considerare che anche chi sceglie di curarsi spontaneamente, ha sempre dentro di sè una quota di ambivalenza e che chiunque può vivere momenti di incertezza sul daffarsi come momenti di regressione, nonostante dichiari la volontà di seguire i trattamenti consigliati. Il percorso verso la guarigione è costellato da momenti in cui si fanno passi verso la salute, alternati a momenti di regressione; quindi il percorso non è un costante procedere verso la guarigione.

A volte parlare con qualcuno, che ha avuto la stessa malattia e n’è uscito, aiuta a sperare di farcela e che è importante non sottovalutare la malattia, ma bensì curarsi.

Monica, di 20 anni, figlia unica, adottiva, che aveva sviluppato una Anoressia Nervosa. La ragazza si era spostata dalla sua città d’origine per motivi di studio, abitualmente viveva con i genitori in una città di mare vicina. Il padre aveva cercato di accompagnare la figlia al servizio che si occupa delle problematiche degli adolescenti e dei giovani adulti, ma lei non ne voleva sapere di pensarsi malata. Monica non aveva amiche, s’impegnava molto nello studio e quello era tutta la sua vita.  I genitori, successivamente, raccontarono che Monica aveva delle ossessioni torturanti soprattutto nell’ambito dello studio, in particolare sul programma di studio di ogni esame nonostante il più delle volte fosse già definito. Dopo un periodo di grande isolamento, voluto anche nei confronti dei genitori, Monica raggiunse il BMI di 10. Un giorno, mentre si recava all’università, fu avvicinata da una ragazza che generalmente incontrava in facoltà che si presentò e le disse che voleva farle conoscere un medico che l’aveva aiutata in un periodo, non troppo lontano, in cui aveva avuto dei problemi con il cibo. Le disse che il medico era una persona speciale che doveva assolutamente conoscere e la portò dal nostro referente internista dell’ambulatorio DCA. Questo incontro fu fondamentale perché rappresentò il primo momento del trattamento specialistico e del conseguente periodo di cura. La situazione clinica di Monica si rivelò molto critica per lo scarso desiderio di coinvolgimento e le sue condizioni organiche, il percorso di cura perciò dovette iniziare con un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e fu molto lungo.

In molte regioni e città sono presenti gruppi di auto aiuto da parte di Associazioni di volontariato.

Ad Esempio da circa 20 anni a Reggio Emilia si è costituita un’Associazione di volontariato di genitori e familiari che si chiama Briciole, che organizza gruppi di auto-aiuto, seminari ed eventi informativi  www.associazionebriciole.it  345/4336317.

Inoltre nella provincia è attiva un ’Associazione per chi ha problemi di Alimentazione Incontrollata che si chiama Cibo&Gioia, dove sono organizzati gruppi di auto-aiuto, laboratori di cucina didattica e seminari. Indirizzo mail presidenza@ciboegioia.it ; sito internet www.ciboegioia.it, contatto 333/8191244.

L’accesso ed il confronto prima con persone che conoscono il problema dal di dentro è spesso utile per poter accettare  successivamente un approccio professionale.

La motivazione alla cura è fondamentale e condiziona tutta la durata del percorso verso la guarigione.

I tempi di maturazione della motivazione alla cura sono un passaggio cruciale al fine del buon andamento del trattamento.

Il lavoro che si esplica attraverso i gruppi di auto-aiuto va nella direzione di favorire e stimolare la motivazione al cambiamento e alla guarigione.

Incontrare persone che hanno avuto il nostro stesso problema o una forma simile e ne sono uscite, ci aiuta a riconsiderare la cura come una reale possibilità di miglioramento della propria vita e di raggiungimento di autenticità.

Ultimo aggiornamento: 12/03/24