9 - Quale cura per questa malattia?

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) indica che il 50% dei ragazze/i tra i 12 e i 25 anni hanno avuto almeno un periodo in cui hanno ristretto la propria alimentazione o hanno abusato di cibo anche in fase transitoria ma è il 3% della popolazione che sviluppa un DCA.

La cura elettiva dei Disturbi del Comportamento Alimentare è il trattamento multidisciplinare, che aiuta la persona a riprendersi corpo e mente, a conquistarsi la libertà e a superare le proprie prigionie rispetto l’ossessione del cibo e dei pensieri stereotipati.

Le discipline di minima coinvolte nei diversi livelli di trattamento e messi in atto a seconda della situazione, della complessità e della fase in cui si trova la persona che soffre di DCA sono: Psicoterapia, Terapie Psicofarmacologiche, Terapia Endocrinometabolica o Internistica e Dietetico/Nutrizionale.

A volte è necessario integrare con altre discipline, perché le problematiche organiche nel tempo si complicano, ad esempio il basso BMI porta all’interruzione del ciclo mestruale.

Una paziente di nome Enrica, di 14 anni, primogenita di due figlie, nell’anno ed anche successivamente all’esordio della malattia, oltre ad una scarsa alimentazione non assumeva nemmeno liquidi. In seguito a questa continua restrizione di cibo e liquidi aveva sviluppato una calcolosi renale, era stato quindi obbligatorio attivare lo specialista competente (nefrologo) al fine di aiutarla a prendersi cura di sé in modo più completo e considerare le patologie organiche in comorbilità al comportamento alimentare adottato.

Quando il sottopeso è evidente, le ragazze anoressiche vanno in amenorrea. Alcune di loro si rivolgono a ginecologi per farsi prescrivere la pillola anticoncezionale al fine di riattivare il ciclo mestruale. In questo caso il non rispettare il tempo del corpo, soddisfa la tendenza a volere tutto e subito, a far finta di non essere ammalate e non aiuta il combattere la malattia che ha scatenato il blocco del corpo.

Altre ragazze, invece, hanno compreso la necessità di rispettare i tempi del proprio corpo e che per prima cosa è importante recuperare un peso accettabile e un equilibrio psichico sufficiente prima di recuperare i propri ritmi fisiologici.

Un’amenorrea lunga anni porta a conseguenze pesanti che non si rivelano all’inizio della malattia, ma solo dopo molti anni, anche dopo 20. In genere, le ragazze non considerano le conseguenze del loro comportamento restrittivo.  Il corpo è vissuto come se fosse eterno e mai valutato nella sua fragilità, come del resto non viene presa in considerazione la fragilità interiore e di conseguenza la necessità di tutelarla.

Ad esempio una ragazza di nome Sonia, di 37 anni, che aveva sofferto di Anoressia Restrittiva e successivamente di Anoressia con Condotte di Eliminazione, si era mantenuta sottopeso per circa 10 anni (dai 14 ai 24). Anche se negli anni aveva migliorato la propria condizione di salute, improvvisamente un giorno, 13 anni più tardi dal recupero del ciclo, si ruppe tre dita di un piede stando ferma. L’osteoporosi raggiunta durante gli anni di malattia, aveva compromesso le sue ossa e dovette sottoporsi ad una terapia intensiva per contenere la mancanza di calcio, che comunque non migliorò in modo considerevole la sua condizione.

Questi esempi mostrano quanto sia importante non trascurare il corpo e quanto sia necessario averne cura, come negli esempi prima riportati era sottolineata l’importanza del lavoro psicologico.

L’approccio multidisciplinare aiuta nella progettazione e nell’espletamento del percorso terapeutico al fine di tenere insieme corpo e mente.

I livelli di cura attivati devono tener conto della fase, delle complicanze e della gravità complessiva che la persona presenta.

La persona e la famiglia, con le loro peculiarità, devono essere sempre al centro di ogni percorso di trattamento, per questo ogni progetto deve essere individualizzato, cioè riferito e adattato alle condizioni ed esigenze del caso.

Quindi, a seconda delle caratteristiche e della fase in cui si trova la persona con DCA e del contesto familiare, si potrebbero attivare o trattamenti ambulatoriali specialistici, o trattamenti in Day-Service o in Centri Diurni, o trattamenti riabilitativi, o trattamenti ospedalieri in regime di ricovero in urgenza organico metabolica, che rappresentano l’ultimo e quinto livello di cura.

Il primo livello, che anticipa questi quattro, è quello del Pediatra di Libera Scelta e del Medico di Medicina Generale che sono a diretto contatto con la famiglia e hanno il compito di intercettare precocemente le situazioni a rischio e inviarle ai servizi di cura appropriati.

Il trattamento ambulatoriale specialistico, secondo livello di cura, è il trattamento elettivo per il 70% delle situazioni e si effettua presso i centri DCA della provincia. E’ l’èquipe del trattamento territoriale ad essere responsabile dell’intero percorso terapeutico.  I pazienti, dopo l’ accoglienza, entrano nella fase di valutazione multiprofessionale, che prevede il coinvolgimento delle parti psicologico/psichiatrica ed internistico/nutrizionale della persona. Successivamente si inizia il trattamento ambulatoriale che prevede per la paziente sia interventi di psicoterapia individuale e/o di gruppo, visite internistico-nutrizionali e psichiatriche, mentre i familiari possono essere coinvolti attraverso incontri di counseling e/o di terapia familiare e/o gruppi psicoeducativi secondo il Nuovo Modello Maudsley.

Collegato al secondo livello di cura vi è il trattamento di Day Service  o Centro Diurno (terzo livello), che si attiva quando la persona sta attraversando una riacutizzazione della malattia o il trattamento ambulatoriale non è sufficientemente efficace. In questa fase è necessario sviluppare un programma di psiconutrizione intensiva, abbinato ad un lavoro di tipo psicologico sia della paziente che della sua famiglia. Anche quando la persona esce da un trattamento di ricovero in urgenza metabolica è bene prevedere un periodo di prosecuzione delle cure nutrizionali in semiresidenza (o Day Service). Il fine è che, dopo un periodo di stretto accompagnamento, la paziente permanga in una fase intermedia di intensità di assistenza per evitare un conseguente aggravamento.

Il quarto livello di cura è quello del trattamento di riabilitazione psiconutrizionale e sociale, che si attua presso apposite residenze, e che si attiva quando la/il paziente non riesce a combattere la malattia attraverso il trattamento ambulatoriale o il Day service, oppure quando si prospetta una situazione familiare non sostenibile o conflittuale.

Il quinto livello di cura è quello del trattamento ospedaliero in urgenza organico metabolica, che viene attivato quando la persona, che soffre di DCA, non riesce a mantenere il peso minimo corporeo, oppure presenta gravi carenze organiche, ed è a rischio vita. Nel caso di minori, sotto i 14 anni il ricovero inizia presso il reparto di Pediatria del Presidio Santa Maria Nuova e segue successivamente o all’interno del Reparto di Pediatria dell’ Ospedale dell’AUSL di Piacenza o nel Reparto di Neuropsichiatria infantile del Policlino Sant’Orsola di Bologna.

 Quando la persona accetta il ricovero esso è volontario, se non lo accetta il ricovero può diventare obbligatorio (TSO). Quest’ultima situazione generalmente viene messa in campo limitatamente, perché è auspicabile che la persona e la sua famiglia collaborino consapevolmente alla cura.

Silvia di 14 anni, arrivata al centro DCA dopo 8 mesi di restrizione alimentare che l’ha portata a raggiungere un BMI di 15. In un primo periodo, dopo l’accoglienza, è stata effettuata una valutazione delle sue condizioni clinico-psicologiche, utilizzando anche le informazioni che i genitori hanno fornito sul periodo che Silvia stava attraversando. E’ stato chiaro fin da subito la necessità di organizzare un ricovero presso il reparto di pediatria del presidio Santa Maria Nuova, al fine di arrestare la perdita di peso e stabilizzare il quadro organico. Dopo un ricovero della durata di tre settimane, Silvia è  stata trasferita presso i reparto di pediatria dell’ospedale di Piacenza, dove ha potuto completare nei successivi 4 mesi il suo percorso riabilitativo. L’equipe del centro DCA ha mantenuto il lavoro di counseling familiare durante i mesi di ricovero di Silvia e una fitta collaborazione con i colleghi dell’ospedale di Piacenza. Terminato il periodo di ricovero, Silvia e la famiglia sono rientrati al trattamento ambulatoriale dove ha proseguito il suo percorso di cura.

L’esperienza di ricovero è stata importante per Silvia perché le ha permesso di acquisire consapevolezza rispetto alle condizioni fisiche raggiunte e riflettere sulle cause e i motivi scatenanti la malattia, inoltre le ha permesso di individuare alcune strategie per fronteggiare il DCA.

Simona di 20 anni, dopo aver effettuato un percorso di trattamento ambulatoriale per circa un anno e mezzo, aveva acquisito alcune consapevolezze rispetto alla malattia e strategie sul come fronteggiarla ma dopo essere stata lasciata dal fidanzato, si è ritrovata a vivere un momento di profonda crisi e fragilità. Il trattamento ambulatoriale, in quel momento particolare, non era sufficiente per aiutarla ad arrestare la “nuova ricaduta” pertanto si era reso necessario organizzare un ricovero in una struttura riabilitativa di psicoeducazione nutrizionale intensiva. Simona ha effettuato un percorso di 4 mesi all’interno della struttura, raggiungendo un nuovo equilibrio psicofisico ed emotivo. L’equipe territoriale ha mantenuto i contatti con la struttura e con Simona e successivamente al ricovero ha provveduto ad accompagnarla nell’ultima parte di percorso di cura a livello ambulatoriale.

In questo caso, il ricovero riabilitativo è stato necessario al fine di aiutare la ragazza a recuperare il proprio equilibrio psicofisico, dandole la possibilità di concentrarsi su se stessa e i sui propri bisogni e obiettivi di vita.

Come si evince da questo esempio, il percorso di cura non è  detto che sia lineare e che non possa prevedere delle ricadute. I livelli di cura più intensivi rappresentano delle opportunità per la persona e la sua famiglia, per affrontare i momenti acuti di crisi.

Bisogna considerare che ai servizi spesso accedono persone che soffrono di DCA da alcuni anni, mentre sappiamo che la precocità della diagnosi e del trattamento in genere sono fattori predittivi di prognosi migliore. La lunghezza della malattia non pregiudica completamente la guarigione. Una forte motivazione alla cura aiuta le persone a superare le difficoltà, le sofferenze e le fatiche del percorso terapeutico. Anche situazioni di 20 o 30 anni di malattia possono ottenere una evoluzione positiva, viceversa ragazze che hanno sviluppato il DCA da pochi mesi possono dover affrontare percorsi complessi e lunghi.

Eleonora di 42 anni, anoressica dall’età di 18 anni, era la terzogenita di 4 figli. Il padre si era sposato con sua madre nonostante fosse già madre di una bambina. Il padre stava per diventare frate ma poi aveva desistito e deciso di sposarsi per procura con una ragazza in difficoltà che aveva bisogno d’essere riscattata agli occhi della società. Eleonora aveva un rapporto conflittuale con la madre che ha sempre descritto come una figura molto autoritaria che picchiava le figlie per qualsiasi banalità, molto severa ed esigente. La primogenita aveva sviluppato un’anoressia in comorbilità con una grave sindrome depressiva e s’era suicidata quando Eleonora aveva circa 25 anni. Il fratello, secondogenito, era morto a causa di un ictus un paio d’anni dopo e nello stesso anno morì anche il padre. Eleonora all’età di 18 anni aveva deciso di vivere in un convitto e di mantenersi lavorando come infermiera. Da quel momento aveva  interrotto i rapporti con la madre ed allentò i rapporti anche con il resto della famiglia. A 19 anni si trovò un fidanzato e dopo pochi mesi rimase incinta. Dai 20 ai 42 anni cambiò spesso città, ebbe un’altra figlia e a circa 35 anni si separò dal compagno. Eleonora in seguito tornò a vivere al Nord. In quel periodo, i figli adolescenti iniziarono a manifestare alcune difficoltà psichiche. Accompagnò i figli presso i servizi competenti, ma non parlò mai della sua anoressia. A 42 anni si fidanzò con un nuovo compagno e rimase incinta. Abortì nei primi mesi di gravidanza e in concomitanza del fatto, i sintomi depressivi si fecero più evidenti. Eleonora parlò delle sue difficoltà con la psicologa che seguiva il figlio maggiore e in quella occasione raccontò per la prima volta la sua ossessione per il cibo. Emerse che alternava periodi d’anoressia restrittiva a periodi di anoressia sottotipo abbuffate/condotte d’eliminazione. Eleonora fece fatica ad accettare la sua malattia, ma fu coraggiosa nell’affrontarla in terapia di gruppo.

 

Adriana era una donna di 50 anni, madre di 4 figli, sofferente di Anoressia con condotte di eliminazione dall’età di 18 anni. Era figlia unica e la madre  (laureta e professionista)soffriva di alcolismo. Adriana aveva accompagnato la madre durante la sua malattia (cirrosi)  e dipendenza fino alla morte avvenuta quando lei aveva 18 anni. Il padre, imprenditore, si era allontanato da tempo dalle due donne e mantenne sempre un rapporto distaccato dalla figlia, anche se presente. Adriana si era sposata ventenne e subito aveva deciso di avere tanti figli. Era nato prima un maschio poi  altri due gemelli e in fine una femmina. Il rapporto col marito in tanto si era logorato e si era separata. Benché avesse la licenza delle scuole secondarie di secondo grado (liceo classico) si trovò un lavoro umile. Adriana arrivò al servizio dopo più di 30 anni di malattia ma convinta della scelta di guarire. Dichiarò subito che era stufa dell’Anoressia e determinata a lavorare su di Sé per guadagnarsi un benessere maggiore. Dopo un percorso di circa 4 anni smise totalmente di abbuffarsi e di vomitare, accettò il suo normopeso e migliorò le sue capacità relazionali.

Il lavoro terapeutico si esplica in rete con i diversi servizi ed i differenti livelli di cura, a tutela della salute mentale del singolo e della famiglia.  Si attua una collaborazione tra tutte le Agenzie coinvolte del tessuto territoriale: Aziende Unità Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere ed Universitarie, Residenze Riabilitative, Residenze Socio-Riabilitative e Associazioni di volontariato.

Le Associazioni di volontariato rappresentano un altro livello d’intervento, non considerato terapeutico in senso stretto e classico, ma con valore non meno rilevante. Esse, dopo essere state formate, possono organizzare gruppi di Mutuo-Auto-Aiuto (AMA) per i diretti interessati e per i familiari, interventi di prevenzione e informazioni alla cittadinanza, rispondere a linee telefoniche dedicate, etc..

Il contributo delle Associazioni è molto importante in quanto organismi esterni alle Istituzioni, che possono orientare le aziende al fine di fornire la cura più adatta e centrata sulle esigenze della persona e della sua famiglia.

Ultimo aggiornamento: 12/03/24