Primary Nursing nella Stroke Unit: le riflessioni degli infermieri a un anno dalla implementazione del modello
Creare la relazione con il paziente cambia il modo di lavorare e la consapevolezza del proprio ruolo

Con l’occasione abbiamo voluto avere dagli infermieri e dal coordinatore del contesto alcuni rimandi sull’esperienza fatta sin qui.
Di seguito riportiamo le riflessioni di due colleghe che si sono rese portavoce del vissuto del gruppo. Citiamo, per dar merito al loro lavoro, i loro nomi sapendo che al loro nome può essere sostituito quello di ciascun componente l’equipe assistenziale.
‘Quando ho sentito parlare per la prima volta di Primary Nursing non avevo la benché minima idea di cosa fosse, dal nome mi era sembrata la solita “americanata”.
La mia immaginazione è subito andata a quegli infermieri che si vedono nelle serie televisive con le divise colorate e una cartellina sempre in mano; poi con gli incontri, la formazione, lo stage mi sono addentrata meglio nel concetto di Primary Nursing e ho iniziato a comprendere cosa vuol dire essere infermiere Primary.
Mi sono confrontata con strumenti e concetti nuovi: presa in carico, progettazione, diagnosi infermieristica, PAI e subito ho pensato: “Io ho da fare, non ho il tempo di scrivere tante cose! Ma prima ancora, la cosa che mi aveva terrorizzata era il dovermi presentare, cioè andare davanti al paziente e dichiarare il mio nome e cognome e sostenere che io sarei stata per lui il riferimento durante il ricovero.
Fino a quel momento avevo fatto il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, ma l'avevo sempre fatto celandomi dietro una sorta di anonimato soprattutto rispetto al paziente per il quale l'infermiere è sempre uno dei tanti.
Ad un certo punto, il giorno è arrivato, sono dovuta andare davanti al mio primo paziente e dirgli come mi chiamo e presentarmi come il suo infermiere Primary; il paziente mi guardava sorpreso e io cercavo di nascondere l'imbarazzo...
E così è cominciata, non potevo più tornare indietro, mi sono trovata alle prese con diagnosi infermieristiche, interventi, obiettivi ma pensandoci bene ho dovuto solo esplicitare quello che tutti i giorni avevo sempre fatto forse senza rendermene troppo conto.
Se la domanda è se il modello Primary Nursing funziona, se è applicabile ai nostri piani di lavoro, dopo un anno di esperienza diretta è l'oggettività dei fatti, mi sento di dare sicuramente risposta positiva ma ho capito che la vera risposta arriva dalla soddisfazione dei pazienti o dei familiari coinvolti nel raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi’ [Lucia].
‘Ormai è passato quasi un anno da quando è stato implementato il primary nursing nel mio reparto. Devo dire che, personalmente, è arrivato in un momento in cui avevo la necessità di cambiare proprio il reparto! Ciò non dipendeva dalla tipologia di utente che afferiva, bensì dal modo di lavorare: l'assistenza era per compiti/giri, scomposta e parcellizzata e si ripeteva indipendentemente dalla peculiarità dell'utente.
Quando è stata fatta la proposta di attivare il Primary Nursing nella mia realtà, in un primo momento ero un po' scettica… poi ho cercato di cambiare il mio atteggiamento. Ho pensato che questo era il treno giusto, era il momento di cambiare... e questo cambiamento dipendeva da me, da noi: abbiamo potuto scegliere, nulla ci è stato imposto dall'alto. E questo, a me, è piaciuto tanto...
Dopo il nostro SI abbiamo iniziato a pensare a modi e strumenti per applicare gli elementi del PN attraverso: un approfondimento del modello con la lettura del libro di Maria Manthey (la fondatrice del modello), lezioni frontali e stage in luoghi nei quali il PN era agito da più lungo tempo.
Siamo arrivati ad oggi e posso dire che come professionista sto bene... sono contenta di avere compiuto questa scelta. Sicuramente dovremo ancora migliorare, ma sono contenta di essere cresciuta professionalmente e di osservare quanto, paziente e famiglia, siano soddisfatti di ciò che faccio nella quotidianità.
Il PN mi ha consentito di comprendere, agendolo quotidianamente ed in prima persona, che creare una relazione mettendoci "la faccia", attraverso il presentarsi, permette sia al paziente che al familiare di avere un riferimento preciso cui rivolgersi ed affidarsi e consente a me di rendermi visibile dimostrando la mia professionalità e competenza’ [AnnaRita]
‘Dopo aver superato titubanze, perplessità e timori di ogni genere tutti gli infermieri, tra i quali anche quelli più sfuggevoli e ostici, hanno dimostrato interesse, impegno professionale e un grande senso di responsabilità. Molti di loro si sono maggiormente aperti nella relazione con il familiare e con il paziente. I ragazzi sono attualmente molto contenti e soddisfatti, il modello ha coinvolto anche i fisioterapisti e tutte le figure che ruotano intorno ai pazienti. Gli operatori sono motivati ed entusiasti del ritorno affettivo e di stima che hanno ricevuto dai pazienti e dai familiari stessi, questo ha alimentato la loro motivazione e anche la loro autostima. Contestualmente, attraverso l’applicazione della progettazione assistenziale e l’apertura di problemi, è cresciuta l’attenzione alle problematiche assistenziali specifiche di ciascun paziente, alla gestione del rischio, alle modalità di relazione con diminuzione di perdita o dimenticanza di informazioni importanti riguardanti l’iter clinico-assistenziale del paziente.
A volte ricevo telefonate di familiari o pazienti che cercano l’infermiera Primary chiamandola per nome e questa è davvero una “rivoluzione epocale”. I ragazzi mi hanno detto che non tornerebbero più al modello funzionale precedente’ [Sabrina].
Il rimando del coordinatore e, attraverso le voci delle due colleghe, di tutto il gruppo professionale, sostiene una volta di più quanto la letteratura riporta in merito ai punti di forza del PN quali responsabilità, autonomia, competenza, insieme a riconoscimento professionale/sociale degli infermieri, parallelamente ad una forte presa in carico e cura del paziente vulnerabile.
La Direzione delle Professioni Sanitarie
Ultimo aggiornamento: 27/03/17