Pubblicato su TOXINS, una delle più importanti riviste scientifiche internazionali di tossicologia, il lavoro di un’equipe di professionisti di Azienda Usl e Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova di Reggio Emilia

 



 

Un prestigioso riconoscimento premierà, in questi giorni, il lavoro di una ventina di operatori di vari Enti ed Istituzioni pubbliche provinciali, regionali e nazionali.
Il lavoro di questa equipe, composta in maggioranza da professionisti dell’Azienda Usl e dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia, sarà pubblicato su TOXINS, una delle più importanti riviste scientifiche internazionali di tossicologia. 
Si tratta della pubblicazione dei risultati di un’indagine, conclusasi circa due anni fa in due aziende della nostra provincia, volta ad approfondire le conoscenze sul rischio cancerogeno da aflatossine, sostanze prodotte da particolari muffe che, talora, contaminano alcuni generi alimentari e gli ambienti di lavoro in cui questi sono trattati o trasformati. La ricerca era inserita nell’ambito di un intervento orientato, soprattutto, a migliorare le condizioni di lavoro. 
Il problema si era manifestato con particolare intensità nella stagione agricola 2012 e 2013, ma può presentarsi, ancora oggi, nelle imprese della filiera agroalimentare della nostra provincia (essiccazione e cernita delle granaglie, produzione di mangimi, ecc). 
Il lavoro di prevenzione e di ricerca, condotto tra il 2012 e il 2014 dai Servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro e di Epidemiologia (Azienda Usl e Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova di Reggio Emilia), in collaborazione con ARPAE di Reggio Emilia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Bologna e Istituto Superiore di Sanità di Roma, finanziato in parte dalla Regione Emilia-Romagna, si è svolto con il contributo organizzativo ed informativo delle stesse Direzioni Aziendali e con la piena collaborazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. 
Tra gli aspetti analizzati dal lavoro dell’equipe riportati nell’articolo rientra quello del rischio, per i lavoratori, di assumere importanti quantità di aflatossine attraverso l’inalazione di polvere contaminata, oltre che per via alimentare, la più conosciuta e, peraltro, indagata anch’essa mediante appositi questionari. L’esposizione è stata studiata anche attraverso il dosaggio urinario. 
Grazie a questo studio è stato possibile dimostrare che il rischio indotto dall’esposizione professionale, aggiuntivo a quello alimentare, può essere molto ridotto ed essere contenuto entro valori minimi grazie all’adozione di appropriate misure di prevenzione, tecniche ed organizzative. 
Il complesso lavoro svolto, e portato a termine in tempi relativamente contenuti, consente ora ai Servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro di avvalersi di un’esperienza di fatto unica in Italia per affrontare il problema anche in altre realtà produttive, con strumenti e modalità sperimentate e validate. 
  
Ufficio Comunicazione 
 

Ultimo aggiornamento: 31/03/17